“Borgo Sud”: Donatella Di Pietrantonio
Dopo aver tanto amato “L’Arminuta”, ( letteralmente in dialetto abruzzese “la ritornata”), “Borgo sud” è una conferma.
Nel primo, Donatella Di Pietrantonio racconta la storia di una ragazzina nata in una famiglia molto umile e numerosa, che dopo essere stata affidata fin dalla tenera età alle cure di una coppia agiata di lontani parenti, in grado di garantirle un avvenire più dignitoso, si ritrova alle porte dell’adolescenza ad essere drammaticamente restituita, senza un apparente motivo, alla sua famiglia d’origine e al suo contesto di degrado culturale e sociale. La storia di quella che può essere definita un’adozione di fatto a tutti gli effetti (consuetudine che per la verità sino agli anni sessanta/settanta del secolo scorso era assai diffusa, soprattutto nel meridione), si tramuta ben presto in una storia di abbandono e di profondo malessere di una ragazzina che si ritrova suo malgrado a fare i conti con il suo dolore e con una realtà così cruda e lontana anni luce dal suo mondo. Non sarà facile per lei ridisegnare i suoi affetti, sentirsi parte integrante della sua nuova famiglia, sopravvivere ad una ferita abbandonica così profonda. Unica ancora di salvezza in tutto questo “torpore emozionale”, è il rapporto con la sorella Adriana, di soli tre anni più piccola dell’Arminuta, così diversa da lei e abituata a fare i conti con una vita così ingrata, eppure l’unica in grado di restituirle attenzioni e premure, di farla sentire quasi non indifferente per qualcuno.
In “Borgo sud” le due ragazzine sono cresciute, l’Arminuta che nel frattempo è diventata una brillante professoressa di lettere che vive all’estero, sembra essersi apparentemente emancipata dal contesto degradante della sua famiglia d’origine con il quale si era ritrovata a convivere a fatica, trovando il suo riscatto personale nella scalata di una futura prestigiosa carriera accademica e nel matrimonio altrettanto desiderabile con Piero, giovane odontoiatra di buona famiglia. Adriana, sembra invece tirare a campare, lei al contrario della sorella, nonostante abbia provato a seguire il suo esempio trasferendosi in città per studiare ragioneria, sembra rimanere ostaggio di tutte le coazioni a ripetere che hanno sin da sempre caratterizzato la sua esistenza, infatti nonostante anche lei si lascia alle spalle la realtà provinciale e retrograda del paese nel quale è cresciuta, decide di trasferirsi a “Borgo sud”, un quartiere popolare e malfamato di Pescara nel quale vive di espedienti, collezionando lavori di fortuna e perseverando in un relazione quasi di amore ed odio e altrettanto precaria con un pescatore del posto.
Il fulcro dell’intero racconto pare essere proprio il parallelismo tra i destini apparentemente opposti delle due sorelle, l’uno così illusoriamente rassicurante ed ordinario, l’altro così disordinato ed imprevedibile. Tuttavia queste due esistenze sembrano essere invece due risvolti di una stessa medaglia, perché in fin dei conti tutti noi siamo immersi in una trama di relazioni umane che visceralmente ci segnano, anche quando abbiamo l’illusione di fuggire via, lasciandocele alle spalle e che talvolta fatalmente ci abbandonano lasciandoci soli, nonostante vorremmo con tutte le nostre forze che ci tenessero stretti. Inesorabilmente siamo in balia di “piccole epifanie in un mare scuro”, siamo scogli esposti all’irruenza delle onde del mare, eppure nonostante tutto, cerchiamo di rimanere saldi a noi stessi, per provare a far pace con il nostro passato e smettere di litigare con il presente, immaginando che il futuro possa essere “un bel posto” .
Quella della Di Pietrantonio si conferma una scrittura semplice ma al tempo stesso profonda, in grado di sezionare con precisione quasi chirurgica l’animo umano, con la sua trama di emozioni e ricordi, di tutti i suoi personaggi, così malinconici, profondi a volte loro malgrado, rudi, assai complessi, molto spesso irrisolti ma sicuramente mai banali.
“Passano altri ricordi, affollati, in disordine. La memoria sceglie le sue carte dal mazzo, le scambia, a volte bara.”